La stazione era distante solo qualche centinaio di metri dalla casa di Kuri, che come giorno scese dal treno e si incamminò con passo veloce verso casa, alzando di tanto in tanto lo sguardo di quel poco che bastava per vedere un gatto sparire dietro un vicolo in mezzo a quel labirinto di palazzi, per poi lasciare ricadere la testa con il mento sulle clavicole. L’unica cosa a cui pensava durante il tragitto era che finalmente un altro maledettissimo giorno era passato, uno come tanti, un giorno che lui non aveva mia chiesto di poter vivere, uno di quelli che, arrivati alla sera, ti lasciano l’impressione di aver inevitabilmente logorato un pezzetto della tua vita, nello sconforto della consapevolezza che non avresti potuto viverlo in altro modo. Insomma un giorno come tutti gli altri.

Insomma un giorno come tutti gli altri.

Si trovava davanti al cancello di casa, suonò il campanello e dopo qualche secondo di attesa il cancello si aprì senza che nessuno rispondesse al citofono, attraversò con passo affrettato i pochi metri di cortile che un palazzo nella periferia di Tokyo poteva permettersi di avere. Quello dove abitava, era un palazzo grigio di sei piani di cui solo il primo dotato di balcone. Era stato costruito molti anni prima e la condizione economica degli inquilini non permetteva alcun intervento di manutenzione. L’intonaco sulle pareti era molto deteriorato, a tratti si era sbriciolato e lasciava scoperto il cemento in ampie aree visibili sulle pareti, la grondaia era danneggiata anch’essa e nei giorni di pioggia lasciava cadere gocce d’acqua da alcuni fori, la porta principale produceva un rumore sordo a ogni minimo movimento e nel tempo era diventato sempre più faticoso aprirla a causa delle giunture danneggiate.

Kuri entrò e salì i gradini delle scale a due a due, impaziente di arrivare a casa; dopo un giorno come quello finalmente era arrivato il momento in cui poteva dedicarsi a ciò che più gli piaceva, il momento in cui finalmente poteva liberarsi dal peso opprimente che si portava sulle spalle, la redenzione che dava un senso alla sua giornata: immergersi nella lettura dei suoi fumetti, semplici fumetti che per lui, semplici non erano affatto. Erano speciali, perché raccontavano delle avventure di personaggi di altri mondi. Loro si che avevano una vita avventurosa! Kuri si chiedeva come dovesse essere vivere giornate ognuna diversa dall’altra. Che cosa si provava a vivere guardando al futuro come a qualcosa ancora da scoprire? Quali emozioni si provavano a non sapere come sarebbe stato il domani? Sicuramente dovevano essere emozioni meravigliose, pensava Kuri, immaginandosi pervaso dall’ebbrezza di vivere una vita come quella, una vita che lui non aveva mai vissuto. La sua era quella di un ragazzino di 16 anni, uno studente di una scuola che imponeva ritmi di studio estenuanti, il figlio di due camerieri sottopagati di un ristorante scadente della periferia di Tokyo. Voleva bene ai suoi genitori, ma non era quella la vita che lui aveva sperato di poter vivere: i sacrifici dei suoi genitori avevano permesso loro di poter vivere in modo abbastanza dignitoso e di pagare i suoi studi, ma non erano bastati a mantenere anche suo fratello maggiore. All’età di dieci anni era stato costretto ad abbandonare il Giappone per andare dai nonni in America perché due figli erano diventati troppo onerosi da mantenere. A quel tempo Kuri di anni ne aveva quattro e non capiva perche suo fratello dovesse andare via. I suoi ricordi erano sempre più imprecisi: avevano ricevuto poche lettere dai nonni e con il tempo l’immagine del viso del fratello era andata via via offuscandosi nella sua mente.

Quali emozioni si provavano a non sapere come sarebbe stato il domani?

Kuri era seduto su una panchina. C’erano nella piccola stazione almeno una decina di persone che aspettavano il suo stesso treno, gente che vedeva tutti i giorni, facce familiari di persone a cui però non aveva mai rivolto la parola. Tuttavia quella mattina Kuri notò qualcosa di insolito: seduto ai piedi del muro della stazione c’era un uomo molto giovane, alto e magro, con i capelli neri lunghi che scendevano appena sulle spalle, era un senzatetto. Un giaccone sgualcito color verde petrolio era la sua unica protezione dal freddo oltre a una coperta rattoppata in più punti che gli copriva le gambe. Quell’uomo stava seduto affianco a uno zaino che probabilmente conteneva tutti i suoi averi, e intanto lo fissava. Kuri gli si avvicinò: sembrava che lo stesse aspettando perché vedendolo arrivare, l’uomo abbozzò un sorriso. Nonostante ciò Kuri non riuscì a dire niente neanche quando fu a un passo da lui.

«Ehi ragazzino, che fai aspetti il treno?» cominciò l’uomo, che nonostante non si conoscessero sembrava sentirsi a suo agio e parlava con disinvoltura.

«Esatto, sto andando a scuola. Tu non sei di qui vero? Posso sapere perché mi stavi osservando?» Kuri pronunciò quelle parole mostrandosi il più possibile sicuro di sè, ma la sua espressione tradiva una certa agitazione, dopotutto non gli capitava spesso di parlare con estranei.

«Come dici? Perché ti stavo osservando?» l’uomo si interruppe e lasciò passare alcuni secondi di silenzio e dopo pochi attimi il sorriso che aveva in faccia si fece ancora più brillante. «Beh sai, tu mi ricordi vagamente il periodo della mia giovinezza. Anche io ero un po’ come te un tempo, purtroppo però non ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia in grado di pagarmi gli studi, i miei genitori li lasciai molto tempo fa, dopodiché persi il lavoro e finii sul lastrico». Pronunciando queste parole, non traspariva dall’atteggiamento dell’uomo il minimo senso di amarezza, né sembrava volersi autocommiserare per la sua vita infelice. Semplicemente, il suo viso era attraversato dalla stessa espressione sorridente con cui pochi minuti prima osservava Kuri seduto sulla panchina della stazione.

«Mi dispiace, deve essere stato davvero difficile per te» si affrettò a dire Kuri, ma in quel momento pensava a tutt’altro: cominciava ad avere le idee confuse riguardo cosa l’uomo volesse veramente dirgli. Kuri non aveva idea del perché stesse parlando proprio a lui.

«Tu sei fortunato ragazzo, deve essere davvero piacevole poter vivere una vita con la consapevolezza di avere un futuro. Ahimé, io vivo nell’incertezza del domani: ogni nuovo giorno è un mistero, ieri per esempio, non avrei mai immaginato che oggi sarei finito per caso in questa stazione e, domani,… chissà.».

Nel frattempo il treno era arrivato, con un fastidioso cigolio rallentò per poi fermarsi con un tonfo sordo in mezzo alla stazione. Kuri era confuso riguardo quello che l’uomo gli aveva appena detto e avrebbe voluto continuare a parlargli, ma non poteva aspettare. Lo salutò e si affrettò a salire sul treno, convinto che non lo avrebbe più rivisto.

Il treno era piuttosto malandato e il vagone mezzo vuoto su cui salì Kuri non veniva pulito da tempo: a causa dello spesso strato di polvere che ne ricopriva i bordi i finestrini sembravano appannati, alcune lattine e cartacce erano abbandonate a terra e un odore sgradevole impregnava l’ambiente. Kuri si sedette lasciandosi cadere sul sedile che produsse il rumore di uno sbuffo e subito sprigionò un leggero alone di polvere, dopodiché appoggiò lo zaino nel posto affianco al suo e si abbandonò completamente all’abbraccio della sua poltrona guardando il soffitto. Un altro giorno stava per cominciare, un altro dei soliti giorni di Kuri.

Il giorno successivo Kuri stava aspettando il treno alla solita ora, intento a leggere uno dei suoi fumetti che portava sempre nello zaino, quando a un tratto l’uomo che aveva incontrato il giorno prima sbucò dalle scale che collegavano i due binari e si diresse velocemente verso di lui:

«Ehi, ragazzo come va?».

Kuri non rispose, in quel momento non aveva voglia di rispondere e l’interesse che quell’uomo aveva suscitato in lui il giorno prima era del tutto sparito.

«Ieri per la fretta non ci siano neppure presentati, io sono Atsumichi e tu come ti chiami?»

«Kurikaeshi». Rispose frettolosamente Kuri senza nascondere il suo disagio, quasi volesse liquidare velocemente il suo interlocutore e rimanere solo. Nel frattempo aveva chiuso il suo fumetto e lo stava riponendo nello zaino, ma l’uomo lo notò.

«Cosa leggi? Non sarà forse un fumetto di Inoue Hisaki».

«Proprio cosi». L’atteggiamento di Kuri era decisamente cambiato adesso: «È il mio autore preferito e senza dubbio uno dei migliori artisti del suo genere, ma tu come lo conosci?». Gli occhi di Kuri si erano accesi di nuova luce al sentire nominare quel nome, dal momento che si parlava dei suoi fumetti la conversazione aveva riconquistato la sua attenzione.

«Ad essere sincero non sapevo chi fosse prima di pochi giorni fa, ma ultimamente non si parla d’altro in giro, sai mi capita spesso di fermarmi ad ascoltare le conversazioni di altri, è un modo come un altro per passare il tempo». Sicuro di aver catturato l’interesse di Kuri, Atsumichi non aspettava altro che la reazione del ragazzo, che non tardò ad arrivare.

«Come? E cosa dicono di lui? E chi è che ne parla?». Fino a quel momento Kuri non aveva mai sentito di altri che condividessero la sua passione, e sentire che qualcuno potesse conoscere qualcosa di Inoue che lui non sapeva, lo rendeva quasi ansioso. In un qualche modo aveva immaginato di essere l’unico a conoscenza di quei fumetti: sapere che qualcun altro li leggeva era per lui come sentirsi espropriato del proprio segreto tanto a lungo custodito. Per questo Kuri ora pendeva letteralmente dalle labbra di Atsumichi e lui lo sapeva.

«Ma come chi? Tutti ti ho detto! Da quando hanno annunciato che anche lui parteciperà alla fiera del fumetto qui in città, è al centro dell’attenzione anche se, a essere sincero non so cosa ci trovino di cosi particolare in quei libricini»

Kuri si sentiva quasi offeso nel sentire che il suo interlocutore non apprezzava come lui quei racconti che tanto lo avevano entusiasmato, non poteva concepire l’idea che qualcuno non aspirasse a ciò cui aspirava lui.

«Come è possibile? Non dirmi che leggendo uno di questi non hai mai provato il desiderio di vivere una delle avventure che qui vengono raccontate? Quelli che tu chiami “libricini” non sono nulla di meno che opere d’arte, che hanno la singolare capacità di suscitare nel lettore le emozioni di una vita avventurosa e spericolata, come l’euforia dell’azione, l’attrazione per l’ignoto, il fascino del viaggio…».

«Sarà come dici tu, ma come ti ho già detto io vivo nell’incertezza da diversi anni ormai e ogni mio nuovo giorno potresti a pieni voti definirlo un’avventura, … tuttavia ti assicuro che reputo la mia vita tutt’altro che entusiasmante».

Ancora una volta non capiva cosa quell’uomo volesse dirgli.

Kuri ancora una volta non capiva cosa quell’uomo volesse dirgli e non riusciva a capire perché continuasse a tirare fuori quell’argomento, tuttavia voleva in qualche modo farsi capire dal suo interlocutore, ma ancora una volta dovette interrompere la conversazione. Il treno era arrivato.

«Tieni, prendilo tu». Kuri si alzò in piedi e porse il suo fumetto ad Atsumichi, che lo guardò sbalordito. «Questo è il numero 127, uno dei migliori della serie, leggilo e capirai cosa voglio dire, fidati di me e non potrai far altro che ammettere che Inoue è senza dubbio un genio. Me lo riporterai domani, fai in modo di essere qui alla stessa ora». Dopo aver accennato un saluto, Kuri si diresse verso il treno. Ancora non poteva credere che il suo idolo venisse in città, si ripromise che avrebbe fatto di tutto per poterlo finalmente incontrare alla fiera. Quella sera passò nella libreria vicino a casa, dove solitamente vendevano anche biglietti per eventi di quel genere, ne comprò uno speranzoso di poter finalmente incontrare il suo idolo.

Appena sveglio, Kuri fu inebriato da un senso di eccitazione che ormai non provava da tempo: quello non era un giorno come gli altri: oggi sarebbe andato alla fiera del fumetto dove avrebbe finalmente incontrato il suo idolo. Era ormai passata una settimana dal suo primo incontro con quell’uomo in stazione che da allora non si era più fatto vedere. A Kuri era dispiaciuto non potere più fare due chicchere con lui mentre aspettava il treno, ma ora non aveva tempo di pensare a queste cose: doveva prepararsi, anche oggi avrebbe preso un treno, ma non il solito che ogni giorno lo portava alla sua scuola fuori città, ma quello che lo avrebbe portato in centro, nell’area della fiera che era allestita di fronte a un centro commerciale. Kuri si preparò il più in fretta possibile e si saziò con una magra colazione, poi si scaraventò giù dalle scale e fuori dalla porta di casa, raggiunse la stazione, salì sul treno che era già fermo e, sedutosi su un sedile, aspettò. La sua fermata era vicinissima alla fiera, Kuri scese dal treno e osservò il panorama che gli si presentava davanti. Avrebbe voluto correre in mezzo al piazzale dove tutte le bancarelle erano allestite, ma al primo sguardo capì che trovare la giusta bancarella sarebbe stata un’impresa non semplice a causa della moltitudine di persone presenti in quella piazza. La fiera pareva a Kuri come un carnevale di colori e rumori, ovunque c’erano persone che compravano fumetti e gadget di varia specie e misura. Ai bordi del piazzale rettangolare erano sistemate bancarelle piene di articoli, alcuni erano esposti su cartoni appoggiati per terra e un fiume di gente incessantemente scorreva in una direzione o nell’altra. La cosa più sbalorditiva era proprio quella massa di persone che accorrevano da ogni dove per riversarsi nella piazza principale: i ragazzi giravano a piccoli gruppi, a volte tutti vestiti come personaggi dei fumetti; c’erano genitori che trascinati dai figli da un angolo all’altro della piazza, gli espositori urlavano a squarciagola e gli acquirenti tentavano di accaparrarsi le ultime edizioni della loro serie preferita a prezzi bassissimi, altri attendevano in fila per ore per poter comprare le magliette ufficiali dell’evento e altri ancora passavano semplicemente per dare un’occhiata senza avvicinarsi troppo agli stand. Kuri si sentì sperduto, non sapeva come avrebbe raggiunto Inoue: in mezzo a quella confusione non riusciva a orientarsi e non voleva di certo entrare nel mezzo della folla per poi rischiare di perdersi. Allora cominciò a girare attorno alla piazza passando per i punti meno affollati e chiedendo in giro dove potesse trovare il famoso fumettista americano. Inoue Hisaki era originario di Tokyo, ma aveva dovuto abbandonare il Giappone da piccolo e recarsi in America dove aveva comunque vissuto in grandi difficoltà economiche. Nonostante ciò aveva coltivato la sua passione per il fumetto e oggi era un uomo di successo. Kuri lo sapeva bene perché aveva letto una sua autobiografia, Inoue aveva dovuto vivere una vita ripetitiva ed estenuante per le precarie condizioni della sua famiglia ed era per questo che i suoi fumetti offrivano la possibilità di fuggire da quella vita angosciante. Per certi versi Kuri lo sentiva molto vicino a sè.

A un tratto Kuri notò che in fondo alla piazza era stato montato un palco molto più grande degli altri e che vicino vi erano appesi manifesti enormi che pubblicizzavano l’evento a cui partecipava Inoue. In pochi attimi Kuri giunse ai piedi del palco e osservò l’orologio: avrebbe dovuto aspettare due ore ma a lui non importava, se era necessario avrebbe aspettato anche di più. Mentre ripensava a come avrebbe passato il tempo, Kuri notò che le transenne per l’accesso alla sezione dietro al palco, riservate al personale, erano state spostate, e decise di provare a introdursi là dentro. Chissà, forse avrebbe potuto incontrarlo da vicino e vedere com’era. Infatti, nonostante conoscesse quasi tutto di lui non aveva mai visto una sua foto. Si avvicinò lentamente allo spazio aperto tra le transenne per non dare nell’occhio, scivolò in mezzo all’apertura e in un batter d’occhio fu dentro. Kuri provò una forte eccitazione, ma anche paura: quella era per lui un’occasione unica! Non aveva idea di dove andare, ma dopo aver percorso pochi metri sentì un rumore di passi dietro di lui.

«Dove vai ragazzino?». Kuri si fermò, i nervi gli si irrigidirono dalla tensione, era stato scoperto e non sapeva cosa fare. Pensò velocemente a qualcosa da dire ma non gli venne in mente niente.

«Speravo di poterti incontrare qui, ma non mi sarei mai aspettato che saresti stato tu a venire fin qua da me». Era la voce di un uomo giovane, Kuri si girò e tenendo basso lo sguardo provò a balbettare qualcosa per prendere tempo: «Io stavo andando …».

Non riuscì a completare la frase. Sul tesserino che quell’uomo portava attaccato al taschino della camicia era riportato il suo nome: Inoue Hisaki.

Kuri rimase attonito e i suoi pensieri divennero ancora più confusi, non sapeva se essere entusiasta di quell’incontro che aspettava da tempo oppure se sentirsi ancora più mortificato per essersi introdotto li dentro.

«E adesso cosa ti succede, non dici più niente? Non pensare che me ne sia dimenticato, scusami ma non ho potuto restituirtelo prima». L’uomo allungò la mano e gli porse qualcosa, Kuri guardò appena e vide che era un fumetto, non capiva cosa stesse succedendo. Guardando meglio si accorse che quello era uno dei fumetti che aveva anche lui, più precisamente il numero 127 della sua serie preferita. Sbalordito, Kuri per un momento sentì il suo cuore fermarsi. Forse aveva capito, ma tutto gli appariva troppo irreale per poterlo accettare. Alzò lo sguardo per vedere quell’uomo in viso e scoprì che era proprio come pensava. L’uomo che era da sempre il suo idolo non era altro che il senzatetto della stazione con cui aveva parlato qualche giorno prima, e che ora gli stava restituendo il suo fumetto.

«Sei tu, ma come è possibile?». Riconoscendolo Kuri aveva riacquistato un minimo di sicurezza.

«Si, sono proprio io, semplicemente volevo conoscerti meglio prima di presentarmi, quindi mi sono fatto passare per un vagabondo, sapevo che leggevi i miei fumetti, ma volevo sapere se davvero erano stati per te ciò che sono stati per me». L’espressione di Kuri era ormai paralizzata in una smorfia che esprimeva loquacemente il suo stupore, mentre il suo interlocutore aveva adottato quel suo solito sorriso sicuro.

«Cosa vuoi dire, perche volevi conoscere proprio me?». Kuri era sempre più confuso, ma almeno l’ansia era completamente svanita, in qualche modo si sentiva a suo agio parlando con lui.

«Perché io e te siamo legati da qualcosa di più che da una semplice amicizia e dalla passione per i fumetti, forse tu non ti ricordi di me, non te ne faccio una colpa, dopotutto sono passati dodici anni dall’ultima volta che ci siamo visti». Ci vollero alcuni secondi prima che Kuri capisse cosa lui gli stava dicendo, ma poi finalmente capì. Possibile che fosse proprio lui?Sono passati dodici anni dall’ultima volta che ci siamo visti.