Viaggio della Memoria, il lager di Hartheim orrore sconosciuto.


Le nostre scuole nel castello costruito per la cura dei disabili e usato dal nazismo per sterminare 85mila persone.

HARHTEIM. Punto cruciale dell’orrore dello sterminio nazista nei confronti di persone con handicap mentali e fisici, il castello di Hartheim è uno dei pochi esempi di castelli rinascimentali in tutta l’Austria.

Lo hanno scoperto ieri i 430 studenti modenesi che con la Fondazione Fossoli stanno partecipando al Viaggio della memoria. Terza tappa di un viaggio che sta consentendo ai nostri giovani di scoprire di giorno in giorno una realtà sconcertante.

Il castello venne fatto costruire durante il 1600 da una famiglia appartenente alla nobiltà austriaca, che in seguito lo donò a un’associazione con lo scopo di aiutare ragazze con ritardi mentali. Negli anni immediatamente precedenti all’ascesa del regime nazista ospitò circa 200 giovani donne e suore, che costituivano il personale. Quando nel 1938 l’Austria venne annessa dal Reich, il castello passò sotto l’amministrazione del regime e l’associazione venne sciolta. Il castello di Hartheim fu uno dei principali teatri dello sterminio nei confronti dei portatori di handicap a partire dal 1939 ed insieme ad altri cinque campi dislocati, portò alla morte di 70mila uomini, donne e bambini.

Dopo la costruzione delle camere a gas e dei forni crematori, nel castello iniziò l’operazione T4 e i principali ufficiali presenti ad Hartheim vennero in seguito inviati in Polonia in qualità di élite delle SS con lo scopo di terminare il genocidio dei prigionieri dei campi di sterminio.

«Ad Hartheim vennero deportati i prigionieri ebrei e non in grado di lavorare dai campi di Mauthausen e Gusen fino al dicembre del 1944, quando vennero distrutte camere a gas, forni e tutto ciò che potesse incriminare i nazisti e vi venne inserito un asilo in vista dell’arrivo degli Alleati» ha detto agli studenti modenesi Florian Swanninger, direttore del castello. In seguito alla liberazione, le forze alleate fecero della struttura un grande laboratorio dove interrogare i prigionieri nazisti e dove condurre ricerche riguardo i crimini di guerra dei tedeschi.

Alla fine della guerra gli utilizzi del castello furono molteplici: diede prima ospitalità ai profughi di guerra e agli sfollati in seguito all’alluvione del 1954. La prima targa commemorativa venne affissa nel 1969, ma l’ex campo venne abitato fino al 1999, causando controversie a causa dell’utilizzo delle camere a gas come deposito e della ritrosia della classe dirigente austriaca a fare i conti con il proprio passato.

Solo negli anni ’80 e ’90 la nuova classe dirigente fece del castello di Hartheim un memoriale fornendo contributi per l’utilizzo del castello come sito commemorativo. Venne aperto al pubblico nel 2003 e oggi è un importante luogo di documentazione.

Stando alle parole di Swanninger, il castello ha un forte ruolo nella commemorazione dei crimini nazisti in Austria ed è fondamentale per evitare che un orrore simile a quello del Terzo Reich si possa ripetere.

A seguito della conferenza è iniziata la visita al castello. Nella Germania di un tempo dove la razza ariana doveva essere perfetta, gli handicappati e i malati mentali erano un elemento di disturbo e imperfezione. I futuri internati , prima della loro detenzione, venivano registrati in piccoli ospedali psichiatrici negli immediati dintorni del castello ed in seguito caricati in pullman completamente oscurati, al fine di mantenere la segretezza dell’azione T4 e portati ad Hartheim. L’accesso al “castello” avveniva sul retro, anche questo sbarrato da muri e un soffitto, per non essere visibile nemmeno agli aerei.

Dopo essere stati internati alcuni venivano utilizzati per degli esperimenti, perché si voleva confermare che razze differenti da quella ariana avessero un fisico e una resistenza peggiore, un esempio era l’ ipotermia, dove le “cavie” venivano poste in una vasca piena di acqua (t° -40), per vedere fino a quando avrebbero resistito. Chi rimaneva veniva sterminato all’interno delle camere a gas, dove si moriva al massimo in sette minuti a causa dell’inalazione di un gas letale. Poi venivano cremati insieme, senza alcun tipo di rispetto. Sconcertante rimane il numero dei morti: 85mila persone.

Martina Creola (5 H Galilei)
Arianna Malagoli (5 B Luosi)
Fabio Carnevali (5B Pico)
Cristian Vitali (5L Galilei)

 

Viaggio della Memoria: il diario dei ragazzi. Ai confini della vita ogni suono è violento.

C’è il sole quando arrivano. Ed è straniante. Può davvero splendere il sole su quello che è stato? Partiti il 24 febbraio dal campo di Fossoli, nove pullman con a bordo più di 400 studenti di Modena…

C’è il sole quando arrivano. Ed è straniante. Può davvero splendere il sole su quello che è stato?

Partiti il 24 febbraio dal campo di Fossoli, nove pullman con a bordo più di 400 studenti di Modena e provincia sono partiti per compiere un viaggio commemorativo sulla Shoah. Chi per curiosità, chi in cerca di risposte.

La prima vera tappa è il campo di concentramento di Dachau, in Baviera, che i ragazzi hanno visitato e conosciuto la mattina del 25 febbraio.

All’entrata, il cancello è molto meno imponente di quanto si fossero aspettati, ed è aperto. “Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi”. Travolge questa frase in stampatello maiuscolo, rigida nell’intreccio della struttura metallica.

La investe un’onda di desolazione. Neve, è tutto bianco questo niente. Di baracche ce ne sono solo due su quelle trenta che dovevano riempire il campo, e purtroppo sono ricostruzioni.

Negli anni ‘60 si pensava che non ci fosse nulla di salvabile in quel che restava delle altre. Adesso rimangono solo le fondamenta, simmetricamente disposte e numerate. Gli stessi numeri che sostituivano i nomi. Quanti ebrei, quanti oppositori politici, quanti criminali, preti e omosessuali sono morti a Dachau?

Dove sono adesso? In questa mattina del 25 febbraio 2018?

Piano piano i visitatori si raccolgono tutti presso il monumento memoriale, in quella che era la piazza d’appello.

Qualche foto, qualcuno trema. Ci sono -10 gradi accompagnati dal vento dell’Est, quello che viene dalla Siberia. Quello che a detta della guida non soffia mai, ma che i prigionieri del campo avranno sentito molte volte soffiare sulla loro nuda pelle.

Dopo l’assegnazione alle varie guide comincia la visita a partire dalle baracche dove dormivano e si lavavano i primi detenuti, che avevano ancora un letto loro e una mensolina per un libro, un’ultima lettera da casa, un paio di occhiali. Qualsiasi suono sembra violento qui, dove c’è ghiaccio ovunque e ogni pensiero si congela. E congelata si ritrova anche la vita di chi è stato qui allora.

La realtà ghiacciata circostante racconta ancora le storie di ottant’anni fa. Una volta uscito di nuovo, il gruppo si sposta lungo il viale alberato che separa le due file di baracche verso i tre monumenti religiosi del campo: una chiesa russa ortodossa, una cappella cattolica e un memoriale ebraico con una enorme campana color della cenere, detta “Campana della Morte”.

In seguito gli studenti si dirigono dove il canale taglia il prato, quello che confina con il filo spinato ad alta tensione. Decisione estrema per chi non ce la faceva più. Se le guardie non sparavano subito, chi metteva piede sul prato si affidava a quegli ultimi passi. Oltre la recinzione si intravede un fiume che scorre. Lo attraversano su un ponte e arrivano nella sezione di campo più brutale.

La guida parla, spiega, indica. Un’ultima raccomandazione: “Chi se la sente può entrare a vedere le camere a gas e i forni crematori”.

Qualcuno entra, qualche lacrima. Dopo, riflettendo, ci si potrebbe chiedere cosa ci facessero lì due misere stufe, ancora con le tubature. Penserà alla preghiera inconsciamente affiorata sulle sue labbra quando varca la scritta “brausebad”. Penserà a come ha fatto a guardare quattro forni allineati con efficiente disciplina, e soprattutto a fotografarli.

Chiunque abbia osservato, respirato qui è un testimone. I ragazzi escono ancora una volta al freddo, il sole è quasi un elemento sarcastico.

Si avviano insieme verso il museo, che visitano frettolosamente, davvero troppo. Poi è ora di andare.

Ilcancello di entrata è lo stesso di uscita. Si avviano verso il pullman. E faranno tutto quanto in loro potere, giurano in silenzio, perché non si ripeta. E si sappia.

Barbara Panza
Maria Chiara Artioli
Liceo Muratori San Carlo

 

FONTI:

http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/02/27/news/viaggio-della-memoria-il-lager-di-hartheim-orrore-sconosciuto-1.16530195 http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/02/27/news/viaggio-della-memoria-il-diario-dei-ragazzi-ai-confini-della-vita-ogni-suono-e-violento-1.16530201